Pagine

venerdì 14 gennaio 2011

a proposito di concessione della residenza in un comune(trovato sul web)

 Residenza anagrafica di soggetti
 che dimorano
 in strutture non convenzionali,
 autocaravan etc.

Il sindaco del Comune di XXX pone il seguente
 testuale quesito:
Un signore che vive in camper è proprietario

 di un terreno edificabile nel Comune, ha
 stranamente ottenuto allaccio luce acqua
 e fognatura, adesso lui, la sorella ed un
 altro parente vivono in tre camper sul 
terreno edificabile, creando disordine,
 intolleranza da parte dei vicini che
 vorrebbero che io li allontanassi.
 L'ufficio anagrafe ha concesso
 loro la residenza in quella via

 senza numero civico.
-Li posso allontanare?
-Se li posso allontanare, per quali leggi?”
     


Si è volutamente rispettata anche la forma di presentazione
 del quesito perché da essa trapelano il pathos e,
nel contempo, il disagio del sindaco rispetto ad
 una problematica singolare, ma non esente da
 complessità , che in ultima analisi rimanda ai
diritti di cittadinanza ed al buon andamento della
comunità locale.
Ai sensi del Codice civile Libro Primo
 “Delle persone e della famiglia”,
 Titolo III “Del domicilio e della residenza” 
art. 43 -2° comma la residenza è nel luogo di
 abituale dimora ossia nel luogo ove abitualmente
 si esplica la vita familiare e sociale di un soggetto.
I principali riferimenti normativi a tutela 
del diritto alla residenza hanno addirittura 
rango costituzionale, infatti la Repubblica Italiana,
 nella sua Carta Costituzionale prevede all’art. 3 che
 tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
 davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
 di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
 personali e sociali e che sia compito della Repubblica
 rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
 che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
 impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Mentre all’ art. 16 stabilisce che ogni cittadino può
 circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte
 del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge
 stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
 Con il D.P.R. del 30 maggio 1989, n.223
 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico
 della popolazione residente” è stato novellato l’istituto
 dell’Anagrafe della popolazione residente, definito come
 la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative
alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che
 hanno fissato nel Comune la residenza,
nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa
 dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio
 (art. 1 comma 1) e disciplinate, rispettivamente agli art. 7 e 11
 le iscrizioni e le cancellazioni anagrafiche.
Al riguardo si ricorda che:

l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente viene
 effettuata:
a) per nascita;
b) per esistenza giudizialmente dichiarata;
c) per trasferimento di residenza da altro Comune.

La cancellazione dall’anagrafe della popolazione
 residente viene effettuata:
a) per morte, compresa la morte presunta giudizialmente
dichiarata;
b) per trasferimento della residenza in altro Comune
 o all’estero, nonché per trasferimento del
 domicilio in altro Comune per le persone 
senza fissa dimora;
c) per irreperibilità accertata a seguito
 delle risultanze delle operazioni del
censimento generale della popolazione, ovvero,
quando, a seguito di ripetuti accertamenti, opportunamente
 intervallati, la persona sia risultata irreperibile.

Poiché il problema dell’iscrizione anagrafica in
 situazioni fuori dall’ordinario periodicamente,
 si ripropone nelle varie realtà locali il Ministero dell’Interno
 – con la Circolare 29 maggio 1995, n.8 ha dettato
 “Precisazioni sull’iscrizione nell’anagrafe della
 popolazione residente di cittadini italiani”.
Si ritiene opportuno riportare alcuni stralci
della suddetta circolare (e della successiva del gennaio 1997)
 perché in esse si affronta una fattispecie analoga
al quesito posto dal Comune istante fornendo
chiarimenti e indirizzi.
In relazione a recenti notizie, riportate 
con evidenza dagli organi di stampa, circa il 
comportamento seguito da un’amministrazione
 comunale nell’esaminare le richieste di iscrizione
 anagrafica avanzate da cittadini italiani, 
questo Ministero, nell’ambito delle proprie
 competenze istituzionali, ritiene 
necessario effettuare alcune puntualizzazioni
 sulla tematica in questione, affinché da parte
 dei sindaci venga adottata una linea di 
condotta uniforme su tutto il territorio
 nazionale evitando, così, le discriminazioni a
 danno dei cittadini da comune a comune.
Pertanto il sindaco quale ufficiale di anagrafe e 

di Governo, nell’esaminare le domande di iscrizione
 anagrafica presentate dai cittadini italiani,
 deve osservare scrupolosamente la legislazione vigente.
 Orbene, dall’esame di detta normativa si evince
 che la richiesta di iscrizione anagrafica, che
 costituisce un diritto soggettivo del cittadino
, non appare vincolata ad alcuna condizione,
 né potrebbe essere il contrario, in quanto 
in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento
 e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale
 in palese violazione dell’art. 16 della Carta costituzionale.
Alla luce delle suesposte considerazioni appaiono

 pertanto contrarie alla legge e lesive dei
 diritti dei cittadini quei comportamenti adottati da alcune
 amministrazioni comunali che, nell’esaminare le
 richieste di iscrizione anagrafica, chiedono
 una documentazione comprovante lo svolgimento 
di una attività lavorativa nel territorio comunale,
 ovvero la disponibilità di un’abitazione, e magari,
 nel caso di persone coniugate, la contemporanea
 iscrizione di tutti i componenti il nucleo familiare,
 ovvero procedono all’accertamento dell’eventuale
 esistenza di precedenti penali a carico del richiedente
 l’iscrizione.
Nel rammentare che il concetto di residenza,

 come affermato da costante giurisprudenza
 e da ultimo dal tribunale amministrativo
 regionale del Piemonte con sentenza
 depositata il 24 giugno 1991, è fondato
 sulla dimora abituale del soggetto
 sul territorio comunale, cioè dall’elemento
 obiettivo della permanenza in tale luogo e
 soggettivo dell’intenzione di avervi stabile
 dimora, rilevata dalle consuetudini di vita
 e dallo svolgimento delle relazioni sociali,
 occorre sottolineare che non può essere
 di ostacolo alla iscrizione anagrafica la
 natura dell’alloggio, quale ad esempio un
 fabbricato privo di licenza di abitabilità 
ovvero non conforme a prescrizioni urbanistiche,
 grotte, alloggi in roulottes.
Con la successiva Circolare 15 gennaio 1997,

 n° 2 rubricata “Anagrafe della popolazione
 residente -iscrizione -apposizione di condizioni
 – inammissibilità “lo stesso Ministero
 dell’Interno (allora a titolarità dell’attuale 
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano)
 torna sull’argomento, rivolgendosi ai Prefetti:
Con precedente 

circolare MIACEL n. 8 del 29 maggio 1995
 questo Ministero ha diramato precise disposizioni
 sulla puntuale ed esatta gestione dell’anagrafe
 da parte di signori sindaci, nella loro
 qualità di ufficiali di Governo, richiamando
 l’attenzione degli stessi sulle conseguenze,
 non solo di ordine penale ma anche amministrative,
 cui può dare luogo, la creazione di impedimenti,
 non previsti da norme legislative, all’iscrizione in anagrafe.
Il particolare veniva sottolineato che

 l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione
 residente dei cittadini italiani, non è sottoposta
 ad alcuna condizione, come si evince
 chiaramente non solo dalla
 legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal successivo
 decreto del Presidente della Repubblica
 30 maggio 1989, n. 223,
 ma altresì dalla costante giurisprudenza
 della Corte di cassazione.
Unico requisito, è la corrispondenza che deve

 intercorrere tra la situazione di fatto
 e quanto dichiarato dall’interessato……
Ciò premesso, atteso il ripetersi di tali inammissibili

 episodi,… si invitano le SS.LL. ad effettuare la più
 accurata sorveglianza sulla gestione delle
 anagrafi da parte di signori sindaci, procedendo,
 se del caso, ad adottare tutti qui provvedimenti
 a tutela della dignità della persona, non esclusa
 la segnalazione all’autorità giudiziaria.” 

La giurisprudenza ha costantemente inteso distinguere
nell'ambito del concetto di residenza un elemento
 oggettivo, costituito dalla stabile permanenza
 in un luogo, ed un elemento soggettivo, costituito
 dalla volontà di rimanervi
(si vedano ad esempio le sentenze della Cassazione:
 Sez. I del 21 giugno 1955 n.1925, Sez. I del 17 ottobre 1955 n.3226,
 Sez. II del 17 gennaio 1972 n.126, 
del 5 febbraio 1985 ,n.791,
 Sez. II del 14 marzo 1986, n. 1738).
Tale soggettività deve essere un elemento
"rivelato dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento
 delle normali relazioni sociali"
 ( Cass., Sez II,14 marzo 1986 n.1738)
 cioè deve essere reso conoscibile ai consociati
 attraverso la condotta del soggetto.
Quindi ne deriva che la residenza è comunque
 una situazione di fatto, alla quale deve tendenzialmente
 corrispondere una situazione di diritto
 contenuta nelle risultanze anagrafiche.
 La richiesta di residenza non può
 quindi essere vincolata ad alcuna condizione
 e tantomeno può essere limitata la libertà di 
spostamento dei cittadini e la scelta di stabilirsi
 sul territorio dove desiderano, pena la violazione
 dell'art. 16 della Costituzione.
L'unico requisito è la corrispondenza che
deve intercorrere tra la situazione di fatto
 e quanto dichiarato dall'interessato rispetto
al suo luogo di dimora abituale.
L'iscrizione anagrafica non è infatti legata
 all'unità immobiliare ma all'effettività della
dimora abituale in quel luogo ossia alla
 realtà abitativa familiare. Pertanto i comportamenti
rivolti ad ulteriori verifiche al di là della dimora
 abituale si configurano quali aggravanti
 del procedimento amministrativo e passibili
di denuncia da parte del cittadino.
 Si ribadisce che attualmente
 non possono essere da ostacolo
 alla iscrizione anagrafica la natura
dell'alloggio quale ad esempio
 il fabbricato non conforme alle
 prescrizioni urbanistiche, la grotta,
 la roulotte o la baracca di legno.
Il secondo comma dell'art.4 della Legge anagrafica
 (Legge 24 dicembre 1954, n.1228)
 impone all'Ufficiale d'anagrafe di ordinare
 gli accertamenti necessari ad appurare
 la verità dei fatti denunciati dagli interessati.
 Si desume chiaramente che il potere-dovere
dell'Ufficiale d'anagrafe è quello di
 disporre gli accertamenti per effetto
 dell'avvenuta presentazione di una dichiarazione
 dell'interessato diretti proprio a verificare la
 corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto
 attuato nella realtà dei fatti.
Avere la residenza anagrafica
 (cioè essere registrati negli archivi della
 popolazione del Comune)
 là dove realmente si vive è un diritto della persona 
(anche se è un "senza tetto", cioè senza una casa 
"normale", 
che sia giuridicamente utilizzabile come civile abitazione).
 Si tratta di un diritto che ne innesca molti altri:
 il diritto alle cure del servizio sanitario nazionale,
al rilascio della carta di identità, il diritto all'assistenza sociale,
 l'iscrizione alle liste per l'assegnazione degli alloggi
di edilizia residenziale pubblica, il diritto di voto in una
serie di elezioni politiche e amministrative
 (quest'ultimo solo per i cittadini italiani o comunitari).
 Non solo i "senza tetto", ma anche le persone
 senza fissa dimora hanno diritto ad avere una residenza anagrafica.
 La legge impone ai comuni di iscrivere
 all'anagrafe sia i "senza tetto" che i 
senza fissa dimoraLa residenza è infatti un diritto
 fondamentale di libertà (quello di scegliere il luogo dove vivere) 
e un tratto irrinunciabile della personalità
 (ciascuno, infatti, appartiene ad una comunità
 ed ha diritto a risultarne membro.
Si sono portate in rassegna le disposizioni
di legge, a partire da quelle di rango costituzionale,
 sino alle circolari del Ministero dell’Interno,
 per sottolineare, tra l’altro, come il sindaco
sia in rapporto di dipendenza gerarchica impropria
 nell’esercizio delle funzioni di Ufficiale di Governo
 e come tale sottoposto al controllo prefettizio,
 risultando comunque inserito, ancorché per
 via funzionale, nell’ambito delle strutture
 che fanno capo al Ministero dell’Interno,
il quale esercita la tutela e garantisce
 l’unità di indirizzo nella materie di competenza
dello Stato.
Da questa prima disamina della normativa
in materia, condotta sul versante delle attribuzioni
del sindaco nei servizi di competenza statale,
 ne consegue con chiarezza che
non sussistono ragioni per allontanare
 i cittadini camperisti e che l’Ufficio 
Comunale ha operato correttamente
 nel rilasciare loro la residenza.
Neanche il Codice della Strada (C.d.S.) approvato
 con il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 riesce
 a fornire qualsivoglia appiglio per
 l’”allontanamento “perorato dal
 sindaco istante.
Il “camper”, ovvero con dicitura
tecnica, l’autocaravan secondo
 la definizione del Codice, è qualificato come
 autoveicolo avente una speciale carrozzeria
ed attrezzato permanentemente per essere adibito
 al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo,
 compreso il conducente (art. 54 c. 1 lett. m) del C.d.S.).
Ai fini della circolazione stradale in genere e agli effetti
dei divieti di cui agli artt. 6 e 7 del Codice,
 gli autocaravan sono soggetti alla stessa
 disciplina prevista per gli altri veicoli
 (art. 185 c. 1). La loro sosta, ove
 consentita, non costituisce campeggio,
attendamento e simili se essi poggiano
 sul suolo esclusivamente con le ruote,
 non emettono deflussi propri e non occupano
 la sede stradale in misura eccedente il proprio
 ingombro (art. 185 c. 2).
E’ vietato lo scarico di residui organici e di
 acque chiare e luride su strade e aree pubbliche,
 al di fuori di appositi impianti di smaltimento
 igienico-sanitario (art. 185 c. 4).
Il divieto di sosta per soli autocaravan può
 essere previsto dalle amministrazioni locali
solo qualora il provvedimento escluda dalla
sosta anche tutti gli altri veicoli con analoghe
caratteristiche dimensionali e di massa e solo
 se legittimato da oggettive situazioni d’intransitabilità.
Si ha campeggio, attendamento o
simili, ogni qualvolta non si rientri nelle
 condizioni di sosta come sopra previste.
 Ciò significa, ad esempio, che l’aver
 appoggiato uno scalino per terra,
 che permetta un più agevole accesso
all’autocaravan, integra già un’ipotesi di
 campeggio e non di sosta.
Considerato che campeggiare esula dalla semplice
 circolazione dei veicoli, è prevista per gli enti territoriali,
 proprietari delle strade, la facoltà di limitare tale
 possibilità ad aree attrezzate adeguatamente allo scopo.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Dipartimento per i Trasporti Terrestri Direzione
 Generale della Motorizzazione ha più volte chiarito
 con apposite direttive ai sensi dell’art. 35
 comma 1 del Codice della Strada le linee
 guida in materia di circolazione e sosta
 delle autocaravan. Ma è ancora il Ministero
 dell’Interno -Dipartimento per gli Affari
 Interni e Territoriali-Direzione Centrale
per l’Amministrazione Generale e per
 gli Uffici Territoriali di Governo-Direzione
Generale UTG, a diramare la circolare prot.
 277 in data 14/01/2008 rubricata, per l’appunto:
 “Direttiva del Ministero dei Trasporti ai
 sensi dell’art. 35 comma 1 del Codice
 della Strada. Linee guida in materia 
di circolazione e sosta delle autocaravan.“
 rivolta ai Sindaci affinché ne tengano
conto nell’esercizio delle relative competenze.
Qui si argomenta nel modo seguente :
<…La limitazione alla circolazione
 stradale e alla sosta per la particolare
 categoria di veicoli in esame appare 
illegittima nel caso di autocaravan 
che poggino sulla sede stradale con le 
proprie ruote, senza emettere deflussi 
propri e che non occupino la sede stradale
 nella misura eccedente il proprio ingombro,
 in assenza di ostacoli atti a giustificarli.
 Già con la Legge 336/91 il legislatore
 era intervenuto, per evitare gli annosi
 contenziosi tra i proprietari dell’autoveicolo
 atucaravan e Pubblici Amministratori, 
con una ratio semplice e chiara, portatrice
 di una serie di innovazioni identificabili,
 almeno, nei seguenti punti fondamentali:
• la conferma che le autocaravan sono

 autoveicoli e sono parificati a tutti
 gli altri autoveicoli;
• la netta distinzione tra il “sostare” 

e il “campeggiare”;
• l’obbligo all’allestimento di impianti

 igienico-sanitari su strade, autostrade e
 campeggi al fine di tutelare l’igiene pubblica 
del territorio, raccogliendo i residui organici
 e le acque chiare e luride raccolti negli
 impianti interni delle autocaravan.
• la possibilità per il Comune di prevedere

 l’allestimento di aree attrezzate riservate 
alla sosta e al parcheggio delle autocaravan,
 al fine di sviluppare il turismo itinerante
 praticato con detti autoveicoli. 
Un intervento, pertanto, 
complessivamente teso a promuovere
 e non ad impedire la circolazione alle 
autocaravan. Tali principi, contenuti
 nella Legge sopraccitata, sono stati
 in toto recepiti nel Nuovo Codice della Strada…

La circolare passa poi ad analizzare nel dettaglio
 alcune fattispecie concrete che hanno dato
luogo ad ordinanze dei pubblici amministratori
 che prestano il fianco a rilievi critici,
 soffermandosi in particolare sul divieto
di circolazione per motivi di ordine e
sicurezza pubblica e sui presunti abusi di
carattere igienico-sanitario.
Il concetto di ordine pubblico che, com’è noto,
 trova riscontro in sede legislativa
 nell’art. 159 comma 2 del D.Lgs. 112/98 è
 “inteso come il complesso dei beni giuridici
 fondamentali e degli interessi pubblici primari
 sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza
 nella comunità nazionale Il Ministero dei 
Trasporti fa rilevare che il concetto di
 sicurezza pubblica è più ristretto 
riferendosi alla salvaguardia della
 incolumità e integrità fisica, patrimoniale
 e morale dei cittadini.
Sarebbero, pertanto, viziati da illegittimità

 sotto il profilo dell’eccesso di tutela quei
 provvedimenti che richiamassero in situazioni
 non rispondenti al reale stato dei fatti
 o comunque in modo generico esigenze
 di “tutela dell’ordine, della sicurezza e dalla
 quiete pubblica”.
In altri casi viene vietata la sosta e la
 circolazione alle autocaravan sulla base
di un’ordinanza motivata dalla necessità
 di salvaguardare l’immagine e, soprattutto,
 l’igiene e la sanità pubblica. Il Pubblico
 Amministratore giustifica il proprio
provvedimento sostenendo che il suo
obiettivo è solo quello di frenare
“... abusi di carattere igienico-sanitario 
connessi allo scarico d'acque nere e
 bianche sulla pubblica via ...”, ovvero
 di “....prevenire qualsivoglia pericolo
 di infezioni virali o di malattie infettive,
 la cui insorgenza può verificarsi per
 l’incontrollato e disordinato deposito
 di liquami e materie organiche oltre
 che dei rifiuti solidi ...”. Si osserva, tuttavia
, che spesso le ordinanze contingibili e urgenti
 motivate sulla base dell’esigenza di tutela
dell’igiene pubblica, stante la genericità
 delle espressioni usate e l’assenza di
qualsivoglia altro elemento indicatore,
 limitano la circolazione delle autocaravan
 sulla base di motivi che non sono certo
 riconducibili alle affermate esigenze
 di prevenzione degli inquinamenti.
 D’altronde, le autocaravan, per il loro
 allestimento, che comprende serbatoi
 di raccolta delle acque inerenti cucina e
 bagno, sempre che siano debitamente
ed idoneamente utilizzate, sono veicoli
 di per sé non idonei a mettere in pericolo
 l’igiene pubblica.
Del resto i cittadini in questione stanno
campeggiando in un’area sottratta all’uso
pubblico, di cui, addirittura, uno di loro
 risulta titolare del diritto di proprietà.
 L’area risulta attrezzata di allacciamenti
ad acqua, luce e fognatura.
 Quest’ultimo servizio, come si è visto,
 risulta essenziale per lo scarico di
residui organici e di acque chiare e
 luride raccolte negli impianti interni
delle autocaravan da convogliare
agli impianti di smaltimento igienico-sanitario,
 che, si presume, avvenga secondo criteri di
 buona tecnica.
Qui occorre ancora precisare non ci si
 trova dinnanzi ad un vero e proprio campeggio,
 cioè ad una struttura e ad un esercizio
 ricettivo destinato al pubblico e disciplinato
dalla normativa sui campeggi.
L’art. 16 della legge regionale del Piemonte
 31/08/1979, n. 54 e s.m.i. recante, per
l’appunto, la disciplina dei complessi
 ricettivi all'aperto al 4° comma prevede che:
In deroga alle norme di cui alla presente
 legge e'consentito l'insediamento di
 un massimo di 3 tende o caravan presso
 aziende agricole che forniscano i
 servizi essenziali, dandone semplice
 comunicazione al Comune.
 Il Comune può, in relazione
 ad esigenze locali, autorizzare
 l'elevazione del numero di 
tende o caravan ad un massimo 
di 10 richiedendo in tal caso che
 vengano assicurati l'approvvigionamento
 idrico e i servizi igienici e lo smaltimento dei rifiuti.
Il comma 5, peraltro, dispone che le prescrizioni
della legge non si applichino per gli
allestimenti ricettivi all'aperto che non
 presentino le caratteristiche di pubblico
 esercizio, dovendosi tali allestimenti assoggettare
 alla normativa vigente in materia
edilizio-residenziale.
Restano quindi da esaminare gli
aspetti attinenti l’edilizia.
L’art. 54 della legge regionale
5/12/19977, n, 56 rubricato
Concessioni per costruzioni
 temporanee e campeggi” prevede che
 “non e'ammessa la realizzazione di
 costruzioni temporanee o precarie ad 
uso di abitazione e di campeggio o la
 predisposizione di aree per l'impiego
 continuativo di mezzi di qualsiasi genere,
 roulottes e case mobili, se non nelle aree
 destinate dai Piani Regolatori Generali
 a tale scopo, con le norme in esso
 espressamente previste, e previa 
concessione con la corresponsione
 di un contributo adeguato all'incidenza
 delle opere di urbanizzazione dirette
 e indotte, da computare in base ai 
disposti della legge 28 gennaio 1977, n. 10”.
L’art. 56 della suddetta legge
 (Interventi soggetti ad autorizzazione)
 dispone che “sono soggetti ad autorizzazione
 i seguenti interventi:
…omissis…
d) la sosta prolungata di veicoli o rimorchi

 attrezzati per il pernottamento, e di attendamenti,
 fatta eccezione per quelli che avvengano in apposite
 aree attrezzate.
Successivamente è sopravvenuto il D.P.R

. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. recante
 il “testo unico delle disposizioni
 legislative e regolamentari in materia 
edilizia”, che all’art. 3 ”Definizioni degli
 interventi edilizi“ comma 1 lettera e
 5) recita : “Ai fini del presente testo
 unico si intendono per: e) "interventi
 di nuova costruzione", quelli di
 trasformazione edilizia e urbanistica
 del territorio non rientranti nelle
 categorie definite alle lettere
 precedenti. Sono comunque
 da considerarsi tali: …… e
5) l’installazione di manufatti leggeri,
 anche prefabbricati, e di strutture
 di qualsiasi genere, quali roulottes, 
campers, case mobili, imbarcazioni,
 che siano utilizzati come abitazioni
, ambienti di lavoro, oppure come
 depositi, magazzini e simili, e che
 non siano diretti a soddisfare esigenze
 meramente temporanee;
all’art. 10
 (“Interventi subordinati a permesso di costruire
 stabilisce che ”Costituiscono interventi di
 trasformazione urbanistica ed edilizia
 del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: 
a) gli interventi di nuova costruzione;..
Al riguardo si segnala la
 sentenza n. 4974 della Corte di 
Cassazione Penale Sez. III, 31/01/2008
 (Ud.17/12/2007), laddove si sostiene,
 addirittura, la configurabilità in lottizzazione
 abusiva della trasformazione di strutture mobili
 (camper e roulottes) in vere e proprie unità
 abitative permanenti.
<La trasformazione di strutture
 mobili (camper e roulotte) in vere 
e proprie unità abitative permanenti
 può far ravvisare in concreto una
 condotta lottizzatoria (in specie
 quando l'attività di campeggio
 assuma dimensioni consistenti e si
 componga anche di edifici di
 servizio che denotano una stabilità 
di realizzazione e producono un
 impatto rilevante sul territorio).
 Sicché, costituiscono lottizzazione 
quegli interventi che mutano le
 caratteristiche dell'insediamento
 e/o del territorio in misura tale da
 far sorgere una non prevista esigenza
 di misure di urbanizzazione oppure
 da richiedere misure di urbanizzazione 
di entità maggiore o diversa rispetto
 a quelle previste. Si configura il “fumus”
 del reato di lottizzazione abusiva 
(e conseguente provvedimento di
 sequestro preventivo) laddove una
 struttura adibita a campeggio,
 sia pure debitamente autorizzata,
 venga radicalmente mutata, per
 effetto di opere edilizie non autorizzate
 e di roulotte posizionate stabilmente
 a terra e, dunque, non più agevolmente
 trasportabili, in uno stabile insediamento
 abitativo di rilevante impatto
 negativo sull’assetto territoriale.
 In questa prospettiva un insieme
 di interventi che snaturino le caratteristiche
 originarie di un campeggio, per quanto
 esso sia debitamente autorizzato, possano
 in linea di principio comportare, 
se complessivamente valutati,
 la violazione dell'art. 44, lett.c)
 del citato d.P.R. n. 380 del 2001>.
La sentenza, ancorché interessante,
 non pare applicabile alla fattispecie
in esame stante la sua esiguità.
 Certamente la posa stabile e
continuata di strutture mobili
quali camper e roulottes al fine
di soddisfare esigenze abitative
non temporanee comporta la
 necessità del rilascio del permesso
 di costruire ai sensi del combinato
 disposto degli articoli del D.P.R. 380/2001
 sopra richiamati. L’Amministrazione
 comunale valuterà, sulla base delle
 informazioni di cui dispone e degli
 accertamenti che vorrà effettuare,
se ricorrono le condizioni per l’applicazione
 delle sanzioni previste dalla vigente
 normativa in materia di illeciti edilizi,
 fatto comunque salvo l’istituto dell’accertamento
 di conformità previsto dall’art.
36 del D.P.R. 380/2001.
Paiono sussistere le condizioni
 per interloquire in termini propositivi
 con i cittadini “camperisti”,
 rappresentando la possibilità
di regolarizzazione della loro
 permanenza nel Comune,
 anche in considerazione del
 fatto che il loro insediamento
 già insiste su di un terreno
 edificabile (si presume a fini residenziali),
 per il quale dovrebbe essere corrisposta
la relativa imposta comunale sugli immobili.
Paradossalmente la ricerca normativa
 fornisce esiti di possibile integrazione
 anziché di allontanamento di cittadini
orientati verso pratiche di vita diverse
dall’ordinario. Il quesito non fornisce
ulteriori elementi per valutare i reali
 motivi di “disordine e di intolleranza
 da parte dei vicini”.
Si ritiene che tali comportamenti
 possano trovare previsione e
composizione anche per via sanzionatoria
 nel regolamento comunale di
polizia locale, che dovrebbe
avere le finalità di promuovere
 l’ordinata e civile convivenza,
garantire la sicurezza dei cittadini,
 tutelare il decoroso svolgimento della vita
 cittadina, nonché disciplinare le attività e
i comportamenti dei cittadini al fine del
 buon andamento della comunità locale.

lunedì 10 gennaio 2011

Andrea Bocelli - A mio padre